spazio

[omissis] | davide tommaso ferrando

Oggi lo spazio è il risultato e non l’origine del gesto progettuale.

Cominceremo osservando come gli architetti «moderni» e quelli attuali abbiano un’idea di spazio molto diversa. L’architettura «moderna» fece dello spazio la sua sostanza e la sua ragione. […] Nello spazio, l’architettura raggiungeva il suo apogeo, ed era capace di offrire tutto ciò che la caratterizzava come un mezzo di espressione autonomo: idea che Bruno Zevi difese in modo particolarmente brillante. Secondo lo storico e critico italiano, l’architettura di Frank Lloyd Wright rappresentava il punto di arrivo di un intricato percorso che avrebbe condotto al trionfo definitivo dello spazio ed alla rottura delle catene che fino ad allora avevano limitato l’espressione architettonica. Effettivamente, per i critici della metà degli anni cinquanta del secolo scorso, Wright ed il Guggenheim di New York costituivano la più piena espressione di come la costruzione, il programma, la figura e la forma potessero coincidere nell’elemento più genuinamente architettonico: lo spazio.

Ma l’egemonia e la preminenza dello spazio non si manifestavano soltanto in Wright: era infatti presente anche nell’architettura di Le Corbusier, la cui casa Curuchet valga qui come esempio di un’architettura nella quale la promenade mette in relazione il tempo e lo spazio attraverso il movimento. Un caso ancora più paradigmatico di architettura fondata sullo spazio è l’opera di Paul Marvin Rudolph, la cui scuola di Yale contribuì in buona misura alla celebrazione dello spazio ed impose la condizione di tettonicità dei volumi. Se però analizziamo il modo in cui oggi gli architetti intendono la nozione di spazio, ci rendiamo conto di come tale nozione, che ovviamente continua ad essere presente all’interno del progetto architettonico, abbia perso la sua condizione sostantiva: non è più il punto di partenza del progetto.

La biblioteca di Seattle di Rem Koolhaas dimostra che oggi lo spazio è il risultato e non l’origine del gesto progettuale. Sebbene infatti [nella biblioteca] lo spazio sia presente, in termini fenomenologici e sensoriali, a nessuno verrebbe in mente di affermare che l’architetto abbia elaborato il suo progetto a partire da esso. Il fatto che l’esperienza spaziale rivesta una grande importanza nella nostra cultura non significa dunque che lo spazio sia uno degli elementi essenziali del pensiero architettonico contemporaneo. In realtà quando progetta la biblioteca di Parigi, Koolhaas […] crea spazi all’interno del sistema strutturale che ospita le distinte attività: ma neanche quel progetto nasce dal trattamento dello spazio. Un’altro discorso va invece fatto per Villa Dall’Ava, la casa parigina di Koolhaas nella quale si trovano diverse allusioni corbuseriane, che è un chiaro esempio di architettura pensata a partire dallo spazio. Ma si tratta del Koolhaas degli anni ottanta, non dell’ultimo Koolhaas.

RAFAEL MONEO, Otra Modernidad, in «ARKINKA», 172, marzo 2010.

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