modernità

[omissis] | davide tommaso ferrando

È la cultura modernista a tener in vita ancor oggi il pensiero critico.

Esiste una forma dell’esperienza vitale – esperienza di spazio e di tempo, di se stessi e degli altri, delle possibilità e dei pericoli della vita – condivisa oggigiorno dagli uomini e dalle donne di tutto il mondo. Definirò questo nucleo d’esperienza con il termine di «modernità». Essere moderni vuol dire trovarsi in un ambiente che ci promette avventura, potere, gioia, crescita, trasformazione di noi stessi e del mondo; e che, al contempo, minaccia di distruggere tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che conosciamo, tutto ciò che siamo. Gli ambienti e le esperienze moderne superano tutti i confini etnici e geografici, di classe e di nazionalità, di religione e di ideologia: in tal senso, si può davvero affermare che la modernità accomuna tutto il genere umano. Si tratta, comunque, di un’unità paradossale, di un’unità della separatezza, che ci catapulta in un vortice di disgregazione e rinnovamento perpetui, di conflitto e contraddizione, d’angoscia e ambiguità. […]

Ora, sarebbe sciocco negare che la modernizzazione può avanzare lungo un gran numero di strade diverse. […] Non vi è alcun motivo perché ogni città debba assomigliare a New York, Los Angeles o Tokyo e pensare alla stessa maniera. Tuttavia, dobbiamo indagare attentamente sugli scopi e gli interessi di coloro che vorrebbero preservare dal modernismo la propria gente per tornaconto personale. […] Quando i portavoce e i propagandisti del governo affermano che i loro vari paesi sono liberi da qualsiasi influenza esterna, ciò che effettivamente intendono è semplicemente che essi finora sono riusciti ad esercitare un freno politico e spirituale sul proprio popolo. Quando il freno viene tolto o si allenta, lo spirito moderno è una delle prime cose a comparire: è il ritorno del represso.[…]

È la cultura modernista a tener in vita ancor oggi il pensiero critico e la libera immaginazione […]. I governi non l’amano, ma è probabile che a gioco lungo non possano farci nulla. Fintantoché sono costretti a immergersi o a rimanere a galla nel vortice del mercato mondiale, costretti a lottare disperatamente per accumulare capitale, costretti a svilupparsi o a disgregarsi […]; fintantoché sono, come afferma Ottavio Paz, “condannati alla modernità”, sono anche destinati a produrre culture che li metteranno di fronte a ciò che stanno facendo e a ciò che sono.

MARSHALL BERMAN, Tutto ciò che è solido svanisce nell’aria, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 25, 158-159.

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La modernità è il continuo sforzo della coscienza umana per uscire dal tunnel dell’ignoranza.

I verbosi filosofi post strutturalisti […] sembrano ignorare che la modernità è qualcosa di storico e atemporale allo stesso tempo; che si trova ad Altamira con un elevato grado di dignità, e che non ha mai abbandonato gli esseri umani, perchè la modernità è la vita artificiale senza la quale le persone tornerebbero a vivere in cima agli alberi, nella selva, secondo le sue leggi naturali. […]

La modernità, si è soliti affermare, è il trionfo dell’analisi scientifica, dell’umanesimo, dell’individualità, della soggettività, del libero esame o interpretazione personale delle sacre scritture. Però ora possiamo dire che, soprattutto, la modernità cambia il mondo perché vi apporta oggettività, etica, critica, razionalità e dialettica. Dialettica storica, perchè la modernità statica nega se stessa. Per questo cambia e, a volte, contiene al suo interno residui della propria contraddizione. Sembra che sia sempre necessaria una certa dose di negazione, affinchè la modernità possa mantenersi in vita. […]

Non sono state nè la ragione, nè la razionalità proprie della modernità eterna, atemporale, universale e panumana, le responsabili del fallimento morale del XX secolo. Al contrario, l’orrore, il pericolo sono nati dall’irrazionale degenerazione tipica dell’irrazionalismo volgare o meccanicista, dell’anima corrotta che ha bisogno di legalizzarsi per mezzo dell’infame e oltraggiosa imitazione della ragion comune: la logica formale. La modernità è stata, almeno dal Neolitico fino a oggi, il continuo sforzo della coscienza umana per uscire dal tunnel dell’ignoranza, della paura e dell’oscurantismo che la ideologia dominante – in qualsiasi epoca – ha imbastito per mantenere il Potere. […]

La modernità è anche filosofia del sospetto, ragion critica – capace di dubitare senza relativismi -, critica razionale che combatte il fanatismo e l’irrazionalità. […]

Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, almeno due uomini straordinari – Thomas Mann (1938) e Alvar Aalto (1940) – riconobbero il problema e la sua soluzione in una maniera così chiara che ancora oggi ci illumina nella sua mutua coincidenza. In maniera approssimata però inequivoca entrambi affermano: «Il problema del mondo non è mai stato e non saranno mai la Modernità e la Razionalità; al contrario, l’origine dei nostri mali si trova proprio nel fatto di non esser stati generosi e di non aver insistito abbastanza con esse, nel non esser riusciti a condurre entrambe queste forme di illuminismo al loro limite storico e sociale.»

ANTONIO MIRANDA, Baricconadas: un texto como pretexto, in ID., A todos los becarios de la reina. Ocho ensayos de estética civil, Biblioteca Nueva, Madrid 2011, pp. 65 – 80.

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Una risposta a “modernità”

  1. emmanuele pilia ha detto:

    Spesso gli architetti confondono “modernità” con un periodo storico ben inquadrato. Zevi tentò di dargli una dimensione atemporale, ma il suo tentativo ha forse – indirettamente – peggiorato le cose: ora parlare di modernità in un certo modo, è una dichiarazione di parte…
    Così usare l’aggettivo “razionale” (fino a poco tempo fa andava di moda tra gli architetti contestare anche solo la parola) diventa quasi blasfemia, oppure “organico” indica il filone writiano. Carmelo Bene soleva ricordare che le parole sono il buco nero del linguaggio. In architettura, forse, ancora di più…

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