INSULAE [dialogo critico]

massa critica | davide tommaso ferrando studioerrante

Non soddisfatto dai contenuti del breve testo descrittivo (sotto, in inglese) del progetto INSULAE – finalista nel concorso di idee per studenti NYTC – recentemente segnalatomi da StudioErrante, ed indeciso sull’opportunità di una sua pubblicazione all’interno del sito, ho invitato Sarah Becchio e Paolo Borghino ad approfondire ulteriormente le ragioni della loro proposta, criticandone gli aspetti a mio parere problematici. Ne è scaturito un breve dialogo critico, qui pubblicato in versione (quasi) integrale insieme al progetto, che ci ha permesso di esplicitare ed approfondire tanto i valori, quanto le lacune, del loro lavoro.

Ringraziando Sarah e Paolo per la loro disponibilità, auguro a tutti gli interessati una buona lettura,

DTF

© StudioErrante

An island is by definition isolated. An island is shaped by disconnection between figure and background, floating on a uniform surface, detecting a difference. A deep breath or a hiccup in the rail apnea of the final part of the High Line. In the heterotopic mechanism of the Theatre and the Garden associated and overlapped, the surface ruffles and offers itself to float. Theatre machines are spaces without place, as vessells, boats, spaceships, where realities, fictions and alternatives are blended. Quay sequences link them to the world. It’s a permeable connection system and at the same time what defines edges, gives name to parts, recognizes inside from outside. In the uniform grid of Manhattan’s floating blocks, archeological rought Russian swimming pools, panoptical vessells, whales, strips of land and offshore platform collections appear.

«In civilzation without boats, dreams dry up, espionage takes the place of adventure and the police takes the place of pirates».  (Michel Foucault)

Cari Sarah e Paolo,

Ci sono tre cose che non mi convincono del progetto INSULAE, epperò, sono tre cose che – secondo il mio modo di vedere le cose – sono molto importanti. La prima riguarda il rapporto con il contesto, che nella tavola che mi avete inviato non esiste. Al di là del percorso sopraelevato della high line, che è la vostra infrastruttura di riferimento, avete deliberatamente deciso di ignorare le immagini (non l’immagine) dei tanti pezzi di città che stanno attorno al vostro progetto. Che, così come lo avete disegnato e descritto, potrebbe in realtà trovarsi in qualsiasi isolato quadrato di qualsiasi città americana. Sebbene lo schema del vostro intervento sia chiaro ed evocativo – il limite che si fa promenade – pare proprio che abbiate dimenticato di esplicitare una delle caratteristiche di tutte le promenade del mondo: quello che esse permettono di contemplare durante il loro attraversamento.

Il primo problema porta al secondo: la mancanza – apparente – di un luogo nel quale il vostro progetto è inserito rende le giaciture dei tanti anelli della vostra “corona di delizie” il frutto del caso. Non mi sembra infatti che il posizionamento dei diversi volumi all’interno del percorso circolare cerchi di stabilire viste privilegiate sulla baia o sulla metropoli, oppure che cerchi di definire un certo tipo di spazio interno. Proprio le caratteristiche imperscrutabili dello spazio abbracciato dall’assemblaggio dei vostri edifici e dell’anello periferico mi sembra il secondo, grosso tema irrisolto del vostro progetto.

Per finire, dal punto di vista prettamente architettonico, l’assenza di qualsiasi indicazione (scritta o rappresentata) sui materiali e sui sistemi costruttivi che avevate l’intenzione di usare è, io credo, molto problematica. Non trattandosi di un masterplan, ma di uno studio molto approfondito su una serie ben definita di edifici tra loro collegati, l’aver sviluppato il tema tipologico e distributivo così a fondo, senza completarlo però con alcuna riflessione sul modo in cui intendevate costruire i vostri temi architettonici, fa si che non si possa parlare con proprietà di forma per il vostro progetto (che, come sapete, è sempre il risultato di un processo e mai un a-priori indipendente dalla materiale scelto), riportando così il tutto, secondo il mio modo di vedere le cose, a quello che vi avevo scritto nella mail precedente: un – interessante – studio tipologico.

Per questo esito a pubblicarlo: perché da circa un anno sto cercando di riportare, anche per mezzo della pubblicazione dei progetti, l’attenzione su un – oggi necessario – ritorno al centro della disciplina architettonica: architettura è costruzione. Il vostro progetto, almeno per come lo vedo io in questo momento, mi farebbe fare – in un certo senso – un passo indietro.

A presto, Davide.

Ciao Davide, finalmente abbiamo trovato un po’ di tempo per rispondere alle tue sollecitazioni, sperando che alcune delucidazioni possano dare risposta ai quesiti che poni e ci permetta di fare un passo in avanti.

L’area, circondata dal tracciato dell’High Line, ma in nessun modo collegata ad essa, si presenta come un esteso campo di binari ferroviari (o sedime ferroviario), ormai in disuso (o cimitero delle motrici). La sua caratteristica è dunque quella di essere uno sfondo unitario e indifferenziato, un “mare di binari”, che raccontava la storia del luogo e che doveva essere preservato o quanto meno tenuto in conto nella sua uniforme banalità. L’area di progetto, circondata dal reticolo delle strade perpendicolari di NewYork, è il risultato di una calibrata strategia dell’assenza che la differenzia radicalmente rispetto a quella che regola la maglia ultra densa  ed estrusa verso il cielo di Manhattan. L’High Line è un nastro che cinge quest’enorme spazio vuoto, indistinto come specchio d’acqua, continuo e uniforme. Qui non vigono neppure le regole caustiche dell’isolato di Manhattan, qui, forse la piscina galleggiante di Koolhaas avrebbe potuto trovare approdo. Qui avrebbe dovuto sorgere, seguendo il programma, un parco “isolato”, un grande  spazio pubblico vivace, di cui le sale dei teatri avrebbero dovuto rappresentare l’icona attrattiva per un pubblico internazionale annoiato dal trito spettacolo proposto nelle sale storiche di Broadway. Un mondo (o una serie di mondi) alternativo(i), stridente(i), al contrario.

Nel bel mezzo della griglia di isolati di Manhattan, questo mare indistinto, non colonizzato dalla bramosia di spazio, ci dava la possibilità di sperimentare congiuntamente le figure eterotopiche del Teatro e del Giardino. Il Teatro è un’isola per definizione, luogo fisico a parte, escluso e isolato, ma allo stesso tempo luogo virtuale in cui si celebrano le sconfinate possibilità della manifestazione dell’esistenza, tramite la sua rappresentazione. I teatri, così come le isole stesse, le navi, i vascelli, gli shuttles, le prigioni, i cimiteri, i giardini (ma anche gli isolati di Manhattan, i grattacieli o i microcosmi sovrapposti che si svelano ad ogni sosta dell’ascensore) sono eterotopie, luoghi ambivalenti dell’ambiguità, in balia di un mare che non li domina completamente, custodi di verità e realtà alternative. Sono cisterne di immaginazione e fantasie aborrite, inconciliabili e destabilizzanti, «capaci di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi designano, riflettono o rispecchiano» (Michel Foucault)

© StudioErrante

Ecco dunque come è andata: l’intero complesso è un artefatto composto da entità isolate e definitive, circondate (o isolate) da uno spazio indefinito e continuo. Sullo sfondo, i binari lasciano spazio ad una mappa della crosta lunare, irregolarmente ricamata da crateri. Un mare di terra ferma. Luogo ideale per un naufragio. Soltanto un anello, una passerella spaziale (dello spazio) le collega alla realtà esterna, univoca, delle regole cartesiane della griglia (di Manhattan). Che a sua volta le collega le une alle altre, tramite passaggi obbligati  pontili e banchine che danno accesso a planetari e mondi inesplorati. Queste entità, gli edifici, sperimentano la deriva, fluttuano su un mare di attività fantastiche e libere, che prendono il nome di playground, birch wood, urban plots, botanical garden… e che assolvono a funzioni richieste per essere spazio pubblico.

© StudioErrante

Ciascun edificio è figurativo per sua natura, figurativo a causa della propria natura, autosufficiente ed efficiente per se stesso. Non può avere connotazione che esuli da sé. Il nostro dunque non è uno studio tipologico ma il risultato di una riduzione, per non dare afflato a incertezze, frammentarietà svianti o derive formalistiche. Sono macchine a servizio dell’immaginazione, con la mostruosa e indifferente semplicità delle architetture non radicate, non contestualizzate. Ciascuna isola-edificio comunica con il parco tramite moli e approdi che hanno funzione di accesso, collegamento, distribuzione, osservazione. Alle due strade principali che coronano l’area appartengono poi gli accessi veicolari  per lo scarico merci, mentre all’interno del perimetro delimitato dall’infrastruttura dell’High Line ci si muove solo a piedi. Ogni edificio offre un fronte privilegiato alle strade, una sponda all’High Line o un belvedere sull’Hudson. la loro posizione geografica è precisa nella deriva congelata nella rappresentazione planimetrica. L’ingresso principale al parco a livello +0.00 avviene all’angolo tra la 30 St. e la 12 Av., protetto dall’andamento a gomito dell’High Line e dal riparo offerto dallo sbalzo della sala del teatro principale. Al teatro più piccolo si può accedere, oltre che dal livello dell’High Line, direttamente prima di penetrare nel parco. Così come è possibile accedere all’anello orbitale maggiore della promenade da diversi punti nevralgici del sito.

© StudioErrante

In generale l’accesso può avvenire da ogni angolo del quadrilatero. In particolare, dall’angolo tra la 11 Av. e la 33 St. l’accesso all’area e alla passerella circolare è garantito dalla connessione offerta da un lembo di terra chiamato Istmo, del quale non si può avere dubbio riguardo alla sua funzione di collegamento. Questo è altresì figura retorica ed espediente per assolvere alle richieste di programma di uno spazio esterno flessibile, adatto a rappresentazioni open air. E’ l’archetipo del teatro arcaico, il pendio erboso. Ai piedi, il sedime ferroviario mantenuto nella sua splendida rugginosa esistenza diventa supporto per piattaforme mobili e aggregabili con funzione di palco, spazio per proiezioni, esibizioni e installazioni artistiche, pannelli pubblicitari visibile dalla strada rialzata, come dalla passerella.

© StudioErrante

Sul lato nord, la vecchia e arrugginita piscina galleggiante russa giace incagliata e sprofondata nel sottosuolo, come un fossile o un relitto. Il suo invaso rivoluzionario prosciugato dall’acqua è stato ricolonizzato nel presente da nuove e pacificate funzioni distributive e di servizio ai teatri sovrastanti. Tre strutture di teatro e una reharsal room per discipline acrobatiche in centro al parco, fanno capo alla Russian swimming pool, che viene promossa a potente strumento distributivo. Uffici, sale riunioni, camerini e depositi fanno parte delle funzioni contenute nella piscina. La sua posizione interrata, a patio, inoltre permette ai visitatori del parco una vista mai ostruita verso il fiume.

© StudioErrante

I citati edifici contenenti i teatri condividono con la piscina interrata parte delle torri sceniche e degli elevatori di servizio per il materiale di scena. La loro forma è la loro funzione. Rispettivamente: un cannocchiale costruttivista a sbalzo per il teatro da 400 posti + il ristorante, per inquadrare la miglior vista sul fiume e garantire spettacoli popolari per tutti.

© StudioErrante

Una scatola quasi simmetrica con propagini distributive descrivono la Black box per spettacoli informali e per compagnie di strada.

© StudioErrante

Una sagoma marina (sottomarina? o da balena? o da vascello a picco?) per il teatro da 150 posti, per sottolinearne la natura acquifera. Ad un tubo scatolare contenente un tapis roulant è invece collegata la reharsal room per acrobati, palestra e tappeto elastico in vetrina, flottante padiglione di vetro nel parco. La gente s’incanta alla vista di quei muscoli vibranti e di quei corpi piroettanti.

© StudioErrante

Muoversi lungo il grande anello e avere accesso a quei mondi paralleli è di per sè corrobrante, anche se non vi si aggiungessero le viste privilegiate, in mutazione continua sulla città, sul parco, al fiume. La promenade anulare ha dunque , ancora una volta, il duplice ruolo fisico e virtuale di amplificare le percezione sul mondo, dipanando allo stesso tempo panorami reali e immaginari. La rappresentazione stessa della tavola ricalca queste considerazioni: poteva avvenire soltanto nella rappresentazione bidimensionale della mappa, a cui si potevano aggiungere delucidazioni scientifiche, in forma di assonometria. Niente render, niente viste romantiche che avrebbero distorto il valore conoscitivo dell‘operazione. Infine serie di nomi compaiono sui bordi esterni delle piante degli edifici, come si fa per le baie, le insenature, i capi, le spiagge, per le scogliere e le isole su una carta geografica, come di terra appena scoperta.

Grazie della lettura, a te la palla se ti va.

Cari Sarah e Paolo,

Si può non pubblicare un progetto che è una calcolata collezione di citazioni di Rem Koolhaas e Michel Foucault, corredato da un tanto esauriente e approfondito testo esplicativo? Certo che no.

Si può non pubblicare un progetto in cui “a fini conoscitivi” struttura, materiali, spazio e paesaggio non sono oggetto di pensiero e/o rappresentazione? Certo che si.

Questo per dire, che avete molto ben approfondito gli argomenti a favore del vostro progetto, ma non avete soddisfatto la mia esigenza specifica di risposte: l’architettura è architettura, le visioni sono visioni, i manifesti sono manifesti (retroattivi e non).

INSULAE cos’è?

Sicuramente non (ancora) un’architettura. Sicuramente non un manifesto. Allora è un (bel) masterplan.

Gallery

Credits

  • progetto > StudioErrante
  • localizzazione > Manhatthan, New York
  • programma > edifici per lo spettacolo
  • cronologia > 2011
  • concorso > NYTC Archmedium competition
  • esito > progetto finalista

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