teatro

[omissis] | giovanni benedetti

Il teatro era una equivoca passione dove l’architettura era il fondale possibile, il luogo, la costruzione misurabile.

Ho sempre pensato che il termine teatrino fosse più complesso del termine teatro; questo non si riferisce solo alla misura ma al carattere di privato, di singolare, di ripetitivo di quanto nel teatro è finzione.

Teatrino invece di teatro non è tanto ironico o infantile, anche se ironia e infanzia sono strettamente legate al teatro, quanto un carattere singolare e quasi segreto che accentua il teatrale.

E’ certo che il tempo del teatro non coincide con il tempo misurato dagli orologi; anche i sentimenti non hanno tempo e si ripetono sul palcoscenico ogni sera con impressionante puntualità.

Ma l’azione non sarà mai estranea al clima del teatro e tutto questo è riassunto in poche tavole di legno, un palco, luci improvvise e impreviste, gente.

E’ certo che il costruttore ripercorreva altri teatri, altre dimensioni, quando esso comprendeva e conteneva tutta la città; ed erano costruzioni di pietra che seguivano la topografia del terreno costruendo una nuova geografia.

Ma poi tutto questo è perduto.

E forse meglio di ogni tentativo di recupero, a partire dall’antica Roma, è l’invenzione del teatro come luogo delimitato, le assi del palcoscenico, scenografie che non vogliono più imitare nulla, i palchi, la vertigine della finzione, azioni e personaggi che, nel continuo ripetersi, sono quasi staccati dall’intelligenza e dal corpo.

Costruire il teatro; gli esempi storici li incontravo tutti nella terra padana. Nell’interno della nebbia, come un’abitazione singolare, si collocava il teatro; certamente il teatro, come modo di vivere, era un’abitazione.

Ogni progetto teatrale come ogni buon progetto è preoccupato solo di essere un utensile, uno strumento, un luogo utile per l’azione decisiva che può accadere.

Il teatro era anche una mia equivoca passione dove l’architettura era il fondale possibile, il luogo, la costruzione misurabile e convertibile in misure e materiali concreti di un sentimento spesso inafferrabile. Ho sempre preferito i muratori, gli ingegneri, i costruttori che davano una forma, che costruivano ciò che rendeva possibile una qualche azione.

Anche se il teatro, e forse solo il teatro, possiede questo singolare prestigio di trasformare ogni situazione obiettiva.

Sono fermo a una situazione che può essere tutta la mia architettura dove la situazione del luogo e del tempo, che sembra così importante si dissolve in gesti e percorsi consueti.

Ho sempre pensato affermato che i luoghi sono più forti delle persone, la scena fissa è più forte della vicenda. Questa è la base teorica non della mia architettura ma dell’architettura; in sostanza è una possibilità di vivere. Paragonavo tutto questo al teatro, e le persone sono come gli attori quando sono accese le luci del teatro, vi coinvolgono in una vicenda a cui potreste essere estranei e in cui alla fine sarete sempre estranei.

Ma spesso il teatro è spento e le città, come grandi teatri, vuote. E’ anche commovente che ognuno viva una sua piccola parte; alla fine l’attore mediocre o l’attrice sublime non potranno cambiare il corso degli eventi.

ALDO ROSSI, Autobiografia scientifica, Il Saggiatore, Milano, 2007.

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