Field Trip #03

attività | davide tommaso ferrando

© Davide Tommaso Ferrando

Alle 6.45 di sabato 12 ottobre ci siamo trovati davanti al Museo dell’Automobile: poco meno di una trentina di architetti assonnati e intirizziti, pronti a salire sul pullman per andare a visitare gli stabilimenti industriali di Casalgrande Padana, a una ventina di chilometri da Reggio Emilia, più qualche architettura recente. Intorno alle 11 siamo arrivati alla Old House: una piccola casa colonica situata all’interno del sito produttivo dell’azienda emiliana, recentemente trasformata nel suo archivio storico. Il progetto di restauro, eseguito da Kengo Kuma, gioca in maniera interessante sul contrasto tra la matericità dell’edificio esistente (mattoni, pietre e legno) e l’impressione – tutta giapponese – di leggerezza e astrazione trasmessa dalle bianche superfici della nuova sala conferenze.

© Walter Nicolino

Come si può immaginare, il restauro è stato un’occasione per mettere in mostra alcuni prodotti dell’azienda, da cui il profuso ricorso alle bianche piastrelle ceramiche nel rivestimento dei pavimenti, nell’ornamento dei soffitti e nella realizzazione degli elementi d’arredo. Interessante anche la soluzione adottata per la protezione dei vani scala, dove superfici a tutta altezza in maglia metallica creano piacevoli effetti di riflessione e trasparenza.

© Walter Nicolino

A poca distanza dall’Old House si trova la Ceramic Cloud: un oggetto a metà tra architettura e land art, realizzato da Kuma (sempre per conto di Casalgrande Padana) al centro di una rotonda stradale. Diverse decine di piastrelle ceramiche bianche sono state accoppiate, accatastate e ruotate in modo da formare una sorta di grande muro permeabile alla vista, disposto longitudinalmente rispetto all’asse stradale principale, e perciò percepibile nella sua interezza soltanto dopo averci girato attorno. L’accoppiamento delle piastrelle, attraverso il raddoppio del volume resistente, consente di usare strutturalmente un materiale tipicamente riservato al rivestimento: un’astuzia progettuale, questa, che ha permesso di ridurre al minimo il numero degli elementi necessari per erigere il bianco muro ceramico, conferendogli, così, un certo grado di astrazione formale, ogni tanto negato da alcune – inevitabili – controventature.

© Walter Nicolino

Il bianco manto di ghiaia che ricopre l’intera superficie della rotonda, così come lo specchio d’acqua su cui si riflettono gli elementi ceramici dell’installazione di Kuma, emanano un’aura desertica e leggermente straniante: qualcosa di totalmente avulso rispetto alle verdi colline del contesto emiliano, ma proprio per questo di un certo interesse. Nella sua essenzialità costruttiva, la Ceramic Cloud è un oggetto molto piacevole, seppure un po’ avventuroso da raggiungere (le rotonde, si sa, non son fatte per i pedoni): una facciata senza edificio che organizza attorno a sé il territorio immediatamente circostante, e che attira lo sguardo dell’osservatore in maniera delicata ed elegante, seducendolo con sapienti giochi di luci, ombre e trasparenze che però, a un certo punto, invitano a guardare (e ad andare) altrove.  Alla fin fine, pur sempre di un muro si tratta.

© Alberto Lessan

La parte più interessante del nostro cit tour, comunque, doveva ancora arrivare. Abbandonate l’Old House e la Ceramic Cloud, ci siamo recati ai vicini stabilimenti industriali di Casalgrande Padana, dove abbiamo avuto modo – dopo un ricco pranzo a base di prodotti emiliani – di visitarne la catena produttiva. Dai magazzini delle materie prime fino agli impianti per la stampa laser sul prodotto finito, abbiamo girato in lungo e in largo i grandi – e quasi completamente automatizzati – capannoni dell’azienda emiliana: rumorosi spazi piranesiani trafitti da silos, nastri trasportatori e robot in continuo movimento, che continuano a mantenere ben vivo il noto fascino modernista (e prima ancora ottocentesco) per l’industria.

© Alberto Lessan

Questo sistema, per cui un’azienda invita un gruppo di architetti a visitare la propria “casa”, funziona molto bene. Mentre si prende conoscenza delle specifiche dei prodotti presenti sul mercato, infatti, si scopre – passo per passo – il modo in cui questi sono realizzati, instaurando con loro un rapporto di familiarità che non può che risultare vantaggioso nel momento della progettazione. E poi, non c’è niente da fare, gli edifici industriali meritano di essere visti in funzionamento.

© Davide Tommaso Ferrando

Finito il giro agli stabilimenti di Casalgrande Padana, prima di rientrare a Torino, abbiamo fatto un’ultima tappa per visitare due architetture recentemente realizzate nei dintorni: la biblioteca di Maranello di Arata Isozaki e Andrea Maffei, e il Museo Enzo Ferrari di Modena, progettato (almeno all’inizio) dagli inglesi Future Systems. Due progetti molto interessanti perché, seppur in maniera molto diversa, mostrano i limiti di certi modi (piuttosto diffusi, tra l’altro) di fare architettura.

La biblioteca di Maranello si inserisce elegantemente in un basso tessuto residenziale, contrapponendo  alle regolari forme delle case circostanti le sinuose linee delle proprie pareti vetrate, il cui andamento curvilineo permette di arretrare l’edificio rispetto agli alti muri ciechi che definiscono i bordi del lotto, creando così un movimentato spazio interstiziale (occupato da una sottile vasca d’acqua) attraverso cui la luce penetra all’interno della sala di lettura.

© Alberto Lessan

L’accogliente atmosfera che caratterizza lo spazio interno, così come il delicato rapporto che la biblioteca instaura con il proprio contesto sono, senza dubbio, quanto di più riuscito vi è in questo progetto, che lascia invece piuttosto a desiderare dal punto di vista della realizzazione, definita da un ampio ricorso al cartongesso e da dettagli generalmente poco curati. Un buon concept, per quanto molto semplice, che è stato parzialmente tradito da una messa in opera non proprio all’altezza: su un edificio così piccolo, ci si dovrebbe aspettare un maggior controllo di tutte le fasi di lavorazione, nonché una maggior coerenza con i temi esplorati (appare non del tutto risolto l’accostamento tra il volume curvilineo della sala di lettura e quello rettangolare dei servizi).

Il Museo Enzo Ferrari rappresenta uno di quei casi in cui le scelte progettuali sembrano essere limitate, senza possibilità di mezzi termini, al mimetizzarsi nel contesto o al far finta che questo non esista. Una grande calotta gialla in alluminio, totalmente fuori scala rispetto agli edifici circostanti, accoglie al suo interno uno spazio espositivo di ben poco interesse: un banale hangar curvo tempestato di controsoffitti, carterizzazioni e volumi bloboidali. Il gesto architettonico (anche se sarebbe più corretto chiamarlo scenografico) si risolve tutto nel grande guscio esterno, la cui “bocca” vetrata ha l’indubbio pregio di generare un piacevole spazio intermedio tra la restaurata casa di Enzo Ferrari e il nuovo edificio museale. I divertenti giochi di specchiamento che si sovrappongono sulla pelle di questa balenottera gialla, accelerando e confondendo le immagini degli edifici circostanti, accentuano l’impressione di un progetto affrontato superficialmente, sia nei confronti del luogo che lo ospita, sia nei confronti del proprio ordine spaziale e strutturale.

© Davide Tommaso Ferrando

Finita la visita al museo, il gruppo torinese è risalito sul pullman per tornare, finalmente, a casa. O almeno quasi tutti, dato che alcuni di noi hanno deciso di fermarsi a Modena per andare a vedere, il giorno successivo, l’ampliamento del Cimitero Monumentale di Aldo Rossi, la Parrocchia di Gesù Redentore di Mauro Galantino, nonché alcuni interventi recentemente realizzati nei comuni emiliani colpiti dal terremoto del 2012… ma questa è un’altra storia. Sono qui d’obbligo, invece, i ringraziamenti a Casalgrande Padana per averci invitati a trovarli, a ProViaggiArchitettura per aver organizzato una bella zingarata architettonica, e a tutti gli amici architetti che hanno aderito a questa iniziativa (Andrea Alessio, Ilaria Ariolfo, Lucia Baima, Iride Barbano, Nadia Battaglio, Michele Bonino e figli, Jacopo Bracco, Stefano Carera, Silvia Chierotti, Alessandro Cimenti, Simona Gori, Eliseba Guarducci, Guido Incerti, Alberto Lessan, Matteo Mandrile, Roberta Mazzoni, Walter Nicolino, Paola Ricca, Gianluca Rocco, Federico Rossi, Lorenzo Serra, Francesco Strocchio, Paula Teruel e Benedetta Veglia)… Alla prossima!

Davide Tommaso Ferrando

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