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massa critica | davide tommaso ferrando

Il 16 aprile ZEROUNDICIPIU’ è stata invitata, all’interno dell’evento “Democrazia Nostop”, parte del programma della Biennale Democrazia 2011 di Torino, a tenere un intervento sul tema “architettura e democrazia”. Abbiamo colto l’occasione per aprire un’ulteriore spazio di riflessione sull’attualissimo tema della trasformazione del Palazzo del Lavoro di Pier Luigi Nervi in un centro commerciale, mettendone in dubbio tanto il processo quanto il progetto.
 
L’intervento è stato anche un banco di prova per sperimentare l’utilizzo di strumenti alternativi nella comunicazione dell’architettura, indirizzati ai “non addetti ai lavori”, alternando alle narrazioni di Davide Tommaso Ferrando, Cristiana Chiorino ed Andrea Veglia le performances musicali del gruppo cameristico Alchimea, che ha commentato con arpa e percussioni degli slideshow di immagini storiche e contemporanee (queste ultime, di Tommaso Buzzi) del Palazzo del Lavoro, creando un suggestivo mix tra architettura e musica.
 
Qui di seguito vi presentiamo la trascrizione dei due discorsi (introduttivo e conclusivo dell’intervento) di Davide Tommaso Ferrando, che riassumono brevemente le ragioni e gli intenti della nostra partecipazione alla kermesse torinese anticipando, inoltre, due future iniziative di ZEROUNDICIPIU’.

Ci hanno chiesto di occuparci, per questa serata, di un tema piuttosto scottante: quello della relazione tra democrazia e architettura. La domanda retorica che ci siamo immediatamente posti, e con la quale si apre questo intervento è stata, ovviamente: può l’architettura essere uno strumento democratico?

La nostra impressione è che la risposta, oggi, si trovi da qualche parte tra il “no” e il “non abbastanza”: l’architettura infatti, e soprattutto in questo periodo di crisi, è necessariamente legata alla concretizzazione di interessi economici che sono espressi, nella maggior parte dei casi, da pochi soggetti privati. Risulta dunque piuttosto chiaro come di democratico, in un  sistema la cui sopravvivenza dipende dall’iniziativa di pochi ma le cui ripercussioni si fanno sentire invece su ampi strati della popolazione, ci sia ben poco.

Questo certamente non significa che gli attori coinvolti nei processi di trasformazione del territorio non abbiano il dovere di prendere in considerazione le istanze sollevate dai contesti sociali in cui le trasformazioni avvengono. Perchè questo si verifichi, però, è quasi sempre  necessario che siano gli stessi strati sociali a sollevare, spontaneamente, dette istanze, spingendo a suon di comunicati stampa, petizioni, conferenze e flash mob gli attori responsabili di quelle stesse trasformazioni al dialogo con la civitas. Perchè l’architettura si “democratizzi” servono, insomma, delle “spinte dal basso”.

È per questo motivo che siamo qui questa sera: per dare cioè un’ultima “spinta dal basso” ad un’operazione, quella della trasformazione del Palazzo del Lavoro di Italia ‘61 in un centro commerciale, che proprio in questi giorni giunge alla sua fase finale.

Abbiamo infatti deciso di utilizzare questa serata per presentare un’istanza che è per noi di cruciale importanza, un tassello essenziale per fornire un quadro completo dell’operazione del Palazzo del Lavoro. Un’istanza di cui fino ad oggi, però, si è parlato molto poco.

Ora, è un dato di fatto che la grande maggioranza dei torinesi nutre un profondo sentimento di rispetto, appartenenza ed affetto nei confronti dello storico patrimonio architettonico della nostra città: non abbiamo  infatti dubbi sul fatto che se una sorte simile a quella del Palazzo del Lavoro fosse toccata ad uno qualsiasi dei nostri esempi di architettura del ‘600, ‘700 e ‘800, ben diversa sarebbe stata la risposta dei cittadini. Manca però ancora nei torinesi, curiosamente, un’altrettanto naturale propensione ad apprezzare, tutelare e valorizzare le grandi architetture del nostro Novecento.

foto superiore © Tommaso Buzzi

Siamo dunque qui stasera per ricordare che il maestoso spazio interno del Palazzo del Lavoro è carico, oltre che di un oggettivo valore storico, architettonico e culturale, di tensioni ed emozioni che il nuovo progetto ha il dovere di salvaguardare, e se possibile sottolineare, anche a costo di perdere superficie commerciale, di farne aumentare i costi di realizzazione o di ritardarne la consegna. Perchè queste emozioni, che sono della stessa famiglia di quelle che proviamo quando entriamo nella Galleria di Diana alla Venaria Reale, sono un bene che appartiene a tutti.

Abbiamo così deciso di condividere con voi questa sera, grazie agli interventi di Cristiana Chiorino ed Andrea Veglia, alle fotografie di Tommaso Buzzi e con il commento musicale del gruppo cameristico Alchimea, le ragioni per cui l’attuale situazione del Palazzo del Lavoro richieda secondo noi l’attenzione di tutti i cittadini e non soltanto delle associazioni ambientaliste, del comitato di residenti “Salva Italia ‘61” e della Circoscrizione 9, che si sono già espressi – negativamente – in merito alla sua trasformazione.

Il fatto è che come tutte le città italiane, anzi di più, Torino oggi è in forte crisi economica. Questo significa che per proseguire nella sua trasformazione è ormai diventato necessario appoggiarsi all’intraprendenza e –  inevitabilmente – alla convenienza del capitale privato. Anche quando questo comporti, come spesso accade, la creazione ed approvazione di varianti ad edificium al Piano Regolatore. È stato proprio così perl’operazione del Palazzo del Lavoro, per il quale la centonovantesima ammenda al PRG ha previsto, tra le altre cose, la sua privatizzazione; il cambio di destinazione d’uso; e «la contestuale cancellazione della classificazione che annovera [il Palazzo del Lavoro] tra gli edifici di particolare interesse storico, appartenenti al gruppo 5) edifici e manufatti di valore documentario».

Ora, chiudendo non un occhio, ma due, su quanto appena detto, abbiamo cercato di essere ottimisti, pensando che la trasformazione in centro commerciale del padiglione di Nervi, rimasto per anni semi-abbandonato ed ormai in stato di evidente degrado, possa essere una occasione importante di rilancio economico non solo per l’area sud di Torino ma per l’intera città.

Siamo quindi contenti che i nuovi proprietari la pensino nello stesso modo: Stefano Ponchia ha infatti dichiarato alla stampa l’intenzione di «creare qualcosa di unico che richiami turisti anche dall’estero», che l’immobile «una volta recuperato sarà un monumento da visitare, prima ancora che un posto dove fare shopping», perché il Palazzo del Lavoro «ha le capacità per diventare importante quanto il Guggenheim a Bilbao. Sarà in grado di portare a Torino dai 4 ai 6 milioni di turisti».

Render inferiore © Studio Rolla

Le parole, però, si scontrano con i fatti, dato che il progetto del Guggenheim di Bilbao – oltre ad ospitare la terza sede museale di una delle maggiori collezioni d’arte del mondo – è l’esito di un concorso al quale furono invitati tre dei migliori studi di architettura del panorama internazionale di allora: Arata Isozaki, Coop Himmel(b)lau e Frank Gehry, il cui progetto non solo risultò vincitore del concorso, ma diede vita ad un’opera che tutti, almeno per sentito dire, conosciamo, perchè è a pieno diritto entrata nella storia dell’architettura.

Nulla a che vedere, dunque, con il centro commerciale in questione, la cui progettazione è stata affidata per incarico diretto ed il cui risultato architettonico può essere giudicato come niente più di un compitino. Ma le differenze non finiscono qui, perché nel nostro caso è anche necessario tutelare e reinterpretare quello che l’assessore all’urbanistica Mario Viano ha giustamente definito «uno dei capolavori della moderna architettura italiana», le cui caratteristiche da tutelare non sono soltanto quelle fisiche e strutturali, ma anche quelle estetiche ed emotive, che ancora oggi accompagnano l’esperienza del grande spazio geometrico progettato da Nervi.

Riteniamo dunque che il progetto che abbia l’onore e l’onere di trasformare il Palazzo del Lavoro di Nervi debba essere un progetto eccellente, risultato di una riflessione profondamente creativa e capace tanto di salvaguardare l’immagine della preesistenza quanto di riconfigurarla secondo le esigenze estetiche e funzionali contemporanee.  Riteniamo allo stesso modo che tale progetto debba essere il risultato di un concorso di progettazione di alto livello: l’unico sistema in grado di garantire un’elevata qualità delle proposte presentate e di instaurare, eventualmente, il tanto desiderato “effetto Guggenheim”.

Fatte tutte queste premesse, siamo consapevoli di essere arrivati tardi, perchè i giochi, come ci ha assicurato la committenza pochi giorni fa, sono già tutti fatti. Stavamo per lanciare un nuovo concorso di idee, per produrre proposte concrete che potessero orientare il progetto durante il suo svolgimento: ma ora sarebbe tempo perso*.

Abbiamo perciò, come ultima azione possibile, di aprire sul nostro sito, zeroundicipiu.it, uno spazio pubblico di confronto sul tema del Palazzo del Lavoro, secondo modalità che tra pochi giorni verranno comunicate sul sito stesso; infine, sulla scorta di questa esperienza, riteniamo opportuno valutare l’apertura di un nuovo progetto indirizzato allo studio, allo sviluppo e alla sensibilizzazione nei confronti dello strumento del concorso privato di architettura, con la speranza in futuro di poter evitare che si perda un’altra occasione come quella del Palazzo del Lavoro.

* è di ieri sera la notizia che il processo di approvazione del progetto definitivo in Consiglio Comunale è, per il momento, sospeso: questo, soprattutto grazie alle pressioni politiche operate con insistenza dal Comitato Salviamo Italia ’61,  che vede ancora possibilità di intervento nell’operazione e che auspica, come noi, un’adozione in extremis dello strumento del concorso di progettazione. Vi terremo informati.

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