Palazzo Gioberti

© Alberto Ferrero

Il progetto di UdA è risultato vincitore di un concorso privato indetto da un investitore al fine di meglio interpretare le esigenze attuali dell’abitare. L’immobile utilizzato come uffici per l’ispettorato del lavoro risultava avere valenze inespresse su cui il progetto ha focalizzato la sua attenzione: ottimizzazione nei tagli degli appartamenti e dell’illuminazione naturale, sfruttamento delle altezze interne per la creazione di piani soppalcati,  l’utilizzo delle terrazze e del piano copertura come estensione degli alloggi verso la città e la collina.

Il tema della residenza condominiale è stato quindi sviluppato attraverso una rivisitazione degli elementi compositivi che la caratterizzano e attraverso cui si articolano gli spazi.

Si è voluto ridare particolare importanza alle parti comuni, considerate un tempo di rappresentanza e pertanto ricercate nei materiali e nelle soluzioni e divenute in seguito, in particolare a partire dagli anni ’70, anonimi luoghi di un passaggio veloce di inquilini frettolosi. Il sistema distributivo verticale ed orizzontale, unitamente agli androni, il cortile,  i terrazzi sono stati riplasmati secondo un linguaggio univoco e coordinato dove i materiali impiegati: legno scuro fresato, pietra inca basaltina acciaio inox diventano, unitamente a rigorose geometrie, il tramite per esprimere una nuova presenza nel tessuto edilizio della città ottocentesca.

Questa nuova presenza che si genera dall’interno dell’edificio acquista visibilità e dialogo con la città attraverso la riplasmazione dei due ultimi piani arretrati risultato di una sopraelevazione degli anni ’50.

Proprio le trasformazioni e le stratificazioni subite dall’edificio nel tempo sono state determinanti per definire la griglia di vincoli e opportunità entro cui sviluppare il progetto architettonico. Uno stabile “apparentemente” ottocentesco con superfetazioni del dopoguerra, vincolato quindi come caratterizzante il tessuto storico, si è rivelato dopo un’analisi archivistica sostanzialmente un falso storico in buona parte realizzato negli anni ’50. Quello che poteva sembrare un blocco omogeneo con un’unica consistente manipolazione identificabile con gli ultimi livelli arretrati è risultato un esempio di continuo accrescimento, sovrapposizione e statificazione, quasi una germinazione cristallina che ha visto una piccola villa suburbana di fine ottocento trasformarsi in un condominio di cinque piani. Una crescita che non ha sostituito le parti precedenti, ma le ha inglobate, talvolta quasi metabolizzate e che solo l’intervento di completa  ristrutturazione ha permesso di comprendere.

Le scelte progettuali già citate hanno quindi trovato ulteriori conferme dal contesto descritto. E’ sugli ultimi livelli arretrati che il progetto UdA trova visibilità.

Da un lato la riqualificazione funzionale degli interni e dei volumi tecnici convertiti ad uso abitativo per meglio enfatizzare il loro carattere emergente sulla città, dall’altro la riplasmazione totale degli esterni attraverso un nuovo disegno dei serramenti riconducibile ai rivestimenti in legno fresato degli androni e dei portoncini d’ingresso delle unità abitative, infine la trasformazione dei volumi sulla copertura come ulteriore stratificazione di segni architettonici nel tempo.

Tutti questi elementi, pur nella loro alterità, danno vita ad un nuovo dialogo con la facciata ottocentesca sottostante senza tuttavia rinunciare alla loro autonomia.

Gallery

Credits

  • progetto > UdA; con Shinobu Hashimoto, Luca Talarico, Marco Luciano
  • localizzazione > via Gioberti 16, Torino
  • tipologia > edificio residenziale
  • cronologia > 2003 – 2006
  • superficie > 3000 mq
  • crediti fotografici > Alberto Ferrero

Related Posts

Facebooktwittergoogle_pluspinteresttumblr


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

italian-theories

Related Posts

Facebooktwittergoogle_pluspinteresttumblr